Antonio De Viti De Marco

 

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Foto di Antonio De Viti De MarcoNato nel 1858 a Lecce, Antonio De Viti De Marco, destinato a diventare uno dei maggiori economisti italiani a cavallo tra il XIX e il XX secolo, visse a Casamassella, piccola frazione di Uggiano la Chiesa in provincia di Lecce, la propria infanzia e gioventù, dimorando nel castello nobiliare della famiglia, i marchesi di Casamassella, o nella residenza nel capoluogo salentino dove frequentò con successo il Liceo classico statale intitolato, segno del destino, all'economista pugliese settecentesco Giuseppe Palmieri.

Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma, andando peraltro contro le proprie inclinazioni che lo avrebbero portato invece ad assecondare la sua già spiccata attitudine per le materie scientifiche e tecniche.

Nel 1881 conseguì la laurea e iniziò a tenere seminari presso l'Università di Napoli. Dopo aver lavorato nelle università di Camerino, Macerata e Pavia, nel 1887 fu chiamato alla cattedra di Scienza delle finanze dell'Università di Roma, dove avrebbe poi insegnato per oltre quarant'anni.

Nel 1890 acquistò il Giornale degli economisti diventandone direttore. A meno di quarant'anni, Antonio De Viti De Marco era già noto come uno dei principali economisti viventi e la sua fama si accrebbe ulteriormente quando riuscì a riunire nel suo Giornale degli economisti i migliori cervelli dell'epoca, tra i quali Luigi Einaudi.

Nel 1901 fu eletto al Parlamento come deputato, aderendo al Partito Radicale Italiano; qui si batté in particolar modo contro la politica protezionistica (nel 1904 fondò la Lega Antiprotezionista).

Dalle colonne del giornale prima e dai banchi del Parlamento poi, si dimostrò strenuo oppositore di Francesco Crispi e Giovanni Giolitti, nonché della politica doganale del 1887 e dei dazi, prevedendone, con straordinaria lungimiranza, le nefaste conseguenze.

L'intensa attività politica non fu disgiunta da quella di giornalista-saggista esercitata, in stretta collaborazione con il corregionale Gaetano Salvemini, soprattutto sulle colonne de L'Unità, dalle quali l'economista diffuse il suo disegno di modernizzazione della democrazia in Italia, con una grande attenzione ai problemi del Mezzogiorno. Date le sue profonde convinzioni politiche ed economiche di stampo decisamente democratico e liberale, all'avvento del fascismo decise di mettersi in disparte, fino a rassegnare nelle mani del professor Pietro De Francisci, rettore dell'Università di Roma, nel novembre 1931, le dimissioni dalla cattedra in quell'ateneo.

Fermo oppositore del fascismo, si rifiutò, inoltre, di giurare fedeltà al regime; si dimise dall'Accademia dei Lincei e rifiutò la proposta di Mussolini di essere nominato senatore. La stoica posizione dell'economista è racchiusa nelle parole di Tommaso Fiore, che lo descrisse come "un faro nella notte", senza possibili interlocutori, abbandonato anche dai suoi amici. Salvemini riferiva che: « ...sorta la dittatura, De Viti De Marco si ritirò in disparte. L'Italia fece a meno per venti anni di quell'uomo, come se di uomini come quello ne avesse da sprecare »

Il professore continuò, quindi, in solitudine gli studi delle materie economiche, che condusse in modo particolare nel Castello di Casamassella, dove poté concludere la sua opera più importante, I primi principi dell'economia finanziaria, che ebbe notevole successo non solo in Italia ma in tutto il continente, con le edizioni in tedesco, inglese e spagnolo che furono ristampate postume.

Al suo pensiero si rifece l'opera di Luigi Einaudi che di lui disse:

« ...fece passare il pensiero economico italiano da una posizione di anonimato ad una di avanguardia. Il merito scientifico più importante è stato quello di aver dato dignità di scienza (oggetto e metodo d'indagine) alla Scienza delle Finanze... »

Morì a Roma il 1º dicembre 1943.